17 ragazze

Per noia. Per provare emozioni nuovi. Per ribellarsi a un mondo adulto assente eppure pieno di giudizi. Per incoscienza.
Le motivazioni sono innumerevoli e nessuna, forse, giustificabile. Ma la storia è vera.
17 ragazze, il film francese delle sorelle Delphine e Muriel Coulin nelle sale italiane dal 23 marzo, parte da un fatto di cronaca per esplorare l’universo delle adolescenti di oggi. Che si muovono in una realtà fatta di nulla, in cui le battaglie civili, la politica, i sogni, l’amore… tutto conta poco o nulla.
La storia parte, appunto, da un fatto di cronaca: in un liceo francese (nella realtà il fatto è accaduto in Gran Bretagna. E, anni fa, dopo l’uscita del film Juno si era verificato anche negli Stati Uniti), 17 sedicenne decidono, in modo consapevole e deliberato, di farsi mettere incinta considerando l’atto di mettere al mondo un bambino una cosa fica.
Naturalmente, data la giovane età delle protagoniste, l’impresa riesce a tutte senza grossi problemi e le compagne si ritrovano a condividere la gravidanza, quindi lo sviluppo e i progetti futuri del loro bambino, con la medesima superficialità con cui ne avevano progettato il concepimento.

Il film, che in Italia esce con il divieto dei minori ai 14 anni, rappresenta l’occasione, per genitori e insegnanti, di riflettere sulla realtà in cui si trovano a vivere molti adolescenti (non necessariamente realtà disastrate. Ma sicuramente realtà fatte di vuoti, in cui mancano completamente le figure di riferimento e i valori, morali e culturali, per poter riflettere in modo coscienzioso su un simile evento) e per affrontare, a casa e a scuola, il tema della maternità consapevole, senza arrivare a estremismi da femminismo Anni Settanta, ma facendo capire alle bambine prima e alle ragazze poi che il proprio corpo è un bene prezioso e non va svenduto per niente al mondo e che ci sono emozioni, quali, appunto, il diventare madre, che non possono essere trattate a livello di videogioco.
Un film istruttivo che andrebbe fatto vedere già nelle prime classi della Scuola Secondaria di primo grado (il divieto ai 14, purtroppo, lo impedisce), con la supervisione di un adulto in grado di creare intorno all’argomento un dibattito serio e approfondito.

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