I capricci

Si parla spesso di capricci e lo si fa per lo più in modo improprio, convinti che i bambini debbano necessariamente capire e assecondare le esigenze dei genitori e non viceversa. Per quale motivo dovrebbe essere così? Perché non tenere conto di ciò che il capriccio rappresenta nell’universo infantile?
Esso, infatti, da una parte, è uno strumento di comunicazione attraverso il quale i piccoli cercano di trasmettere a chi sta loro intorno un messaggio diverso, più profondo e problematico; dall’altra, è legato alle fasi di crescita attraverso le quali i bimbi passano nel corso della loro infanzia.
È indispensabile, perciò, capire innanzitutto davanti a cosa ci si trova di fronte per cercare, poi, una soluzione che sia la più indicata per il bene del piccino, indipendentemente da quello che è il grado di fastidio e intolleranza che sul momento proviamo. Ciò vuol dire che per affrontare i capricci dei bambini non esiste una formula matematica che possa andare bene per tutti (hai fatto questo e, quindi, io farò quest’altro), ma che ogni singolo caso va considerato e analizzato a sé, poiché ogni bimbo ha i suoi tempi e le sue modalità di espressione. Comprendere cosa sta succedendo è, in ogni caso, il primo passo da compiere.

A OGNI ETÀ IL SUO CAPRICCIO
I bambini, durante il loro percorso di crescita, attraversano delle fasi, momenti particolari durante i quali prendono coscienza di se stessi e del mondo che li circonda secondo meccanismi ben precisi. Ciascuna di queste fasi è caratterizzata da situazioni comportamentali specifiche delle quali bisogna tener conto quando, in parte ingiustamente, si parla di “capricci”.

  • Da 0 a 3 anni: parlare di “vizi e capricci” nel primo anno di vita del bambino è impensabile. I bimbi così piccoli, infatti, non “puntano i piedi”, ma avanzano legittime richieste di attenzione da parte dei genitori, in particolare della mamma. Il contatto fisico è, in questo momento, fondamentale per stabilire un rapporto e il piccino ha bisogno di acquisire fiducia e sicurezza in se stesso e negli altri. In questo senso, pianti e strilli vanno capiti (il neonato piange perché ha fame, perché ha il pannolino sporco, perché gli fa male il pancino, perché ha paura…) e ascoltati. Il bambino, inoltre, sta attraversando quella che in psicanalisi viene chiamata fase orale e che durerà, più o meno fino ai 3 anni. I “capricci” possono in questo momento essere incentrati sul cibo e sull’atto di mangiare (anche se, come sempre, non è una legge) e si configurano, talvolta, come attacchi aggressivi o ricattatori nei confronti della figura materna. Intorno ai 2 anni, infatti, il bimbo cerca in tutti i modi di tenere la mamma legata a sé e i suoi capricci non sono altro che tentativi di affermarsi.
  • Tra i 2 anni e mezzo e i 3 anni e mezzo: il superamento della fase orale coincide con la presa di coscienza del proprio corpo (non solo la bocca). Si entra in quella che viene chiamata fase anale durante la quale il bambino cerca di affermare la sua autonomia. È il periodo cosiddetto “opposizionale”, quello in cui il piccolo dice sempre di “no” mettendo in gioco tutta l’aggressività di cui è capace. Il dialogo, in questo momento serve a poco. Di fronte a un atteggiamento aggressivo è necessario rispondere con un atteggiamento altrettanto aggressivo per valorizzare il bimbo e dimostrare il proprio amore.
  • Dopo i 3 anni e mezzo: tra i 3 anni e mezzo e i cinque si entra nella cosiddetta fase edipica, caratterizzata dal manifestarsi dei primi contrasti con il genitore dello stesso sesso che viene sfidato per capire chi è più forte; il bambino, inoltre, cerca di controllare la coppia genitoriale. Bisogna “accompagnarlo”, quindi, al superamento di questo momento insegnandogli ad accettare la sconfitta che gli proviene dall’esclusione.

    GLI ERRORI PIÙ COMUNI DI MAMMA E PAPÀ

  • Pensare che i capricci siano sempre fini a se stessi intervenendo sulle conseguenze e non sulle cause.
  • Mettere le proprie esigenze e aspettative davanti a quelle dei bambini.
  • Lasciarsi guidare dai propri sensi di colpa e non dal bene reale dei piccoli.
  • Non comprendere le diverse fasi di crescita attraverso le quali i bimbi passano cercando una formula di comportamento che vada bene sempre e indistintamente.
  • Non capire che i bambini sereni difficilmente sono capricciosi e che se i capricci sono tanti e ripetitivi è segnale di qualcosa che non va.

    MA I GENITORI HANNO SEMPRE TORTO?
    Il compito dei genitori, lo si sa, è in assoluto il più difficile. Mamma e papà hanno il diritto di sbagliare. Ciò che conta è che, anche nell’errore, siano onesti con se stessi e con il piccolo. Se, infatti, ciò che dà fastidio del capriccio è la sua componente aggressiva è nel loro diritto rispondere all’aggressività con l’aggressività, se è questo che sentono dentro. La rabbia va lasciata esplodere (nei limiti del possibile, ovviamente) non solo per liberarsi di essa (e, quindi, per il proprio bene), ma anche per il bene del bambino che in questo modo sa perfettamente chi ha di fronte. Capire i capricci e comprendere che dietro vi si nasconde un mondo che va interpretato non significa darla sempre vinta al bimbo, ma aprire un dialogo con lui che può anche passare attraverso le urla e le sgridate. I genitori non devono sentirsi colpevolizzati, devono solo imparare ad accettare che esiste un’altra chiave di lettura per comprendere le marachelle dei propri figli che non è solo quella che vuole i bambini divisi in “bravi” e “capricciosi”.

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