In mensa con la schiscetta della mamma

Verrebbe da dire che la scuola italiana non riesce a trovare pace in questi primi caldi giorni di settembre.
Che poi, se il problema fosse la didattica, non ci sarebbe nulla da aggiungere, se non lasciar parlare insegnanti e corpo docente. E, invece, a prendere la parola sono i genitori.
Sempre più onnipresenti nella strutture scolastiche e sempre meno disposti a dividere il ruolo genitoriale che competerebbe loro, da quello didattico/formativo che dovrebbe essere proprio di tutti gli ambienti scolascitici.

COSA STA SUCCEDENDO
In questo caso, però, la polemica ha a che fare con la mensa. Altra nota dolente delle famiglie italiane.
Che le mense scolastiche non siano esattamente ristoranti stellati è indubbio. Lo è ora. Lo era un tempo. Le mense non sono ristoranti stellati nemmeno nelle aziende. E in tutte le situazioni in cui ci si trova ad averne a che fare.
La qualità è mediamente bassa. L’offerta limitata. Gli sprechi enormi.
La quantità di cibo che ogni giorno finisce in pattumiera è enorme. E se per lo spreco alimentare, per esempio, nei supermercati qualcosa si sta muovendo, per quanto riguarda le scuole poco viene ancora fatto.

La polemica di questi giorni ha a che fare con una sentenza del Tribunale di Torino che ha rigettato il reclamo presentato dal Ministero dell’Istruzione contro l’ordinanza che estendeva a tutti i bambini il diritto di consumare nei refettori comuni il pranzo preparato a casa dai genitori.
In pratica, la possibilità di presentarsi a scuola con la schiscetta rifiutando la mensa scolastica è diventato un diritto e non un’eccezione.

Sull’onda di quanto successo a Torino, anche i genitori di Milano si sono mossi in questo senso, chiedendo alle scuole di intervenire per facilitare tutto ciò.
I problemi sono di varia natura.
Per alcune famiglie la scelta ha a che fare con una questione economica: i buoni mensa costano troppo e non tutti sono disposti a pagare la crifra dovuta.
Per altri, però, le motivazioni sono diverse: la qualità non è buona, la proposta non è adeguata, la scelta non è sufficientemente varia…

E’ davvero così? Come dicevamo sopra, che la qualità dei pasti proposti nelle mense non sia sempre quella auspicata è senz’altro vera.
Ma davvero i bambini rifiutano il cibo perché non soddisfa criteri di qualità?
La maggior parte del cibo che finisce in spazzatura rientra nella categoria della frutta o della verdura. Ingredienti che, comunque, subiscono in generale poche trasformazioni da renderle qualitativamente non apprezzabili.
Una mela è una mela. Può esserci la mela biologica o proveniente dall’Argentina (e questo è ancora un altro ordine di probelma), ma difficilmente un bambino la rifiuta per questi motivi.

Inltre, è davvero corretto insegnare ai bambini a differenziarsi, con una connotazione di ‘positività’ dai compagni?
Un panino al prosciutto è davvero meglio della pasta scotta proposta nei refettori?
Non sarebbe, invece, preferibile abituare i bambini a mangiare qualsiasi cosa, assaggiando anche quello che non piace?

E qual è il criterio in base al quale un piatto viene definito qualitativamente accettabile oppure no?
Un bambino portato in un ristorante stellato davvero mangerebbe quello che ha nel piatto?
Non preferirebbe comunque il panino di Mc Donald piuttosto che l’elaborata preparazione dello chef?
La cucina della mamma è sempre più buona di quella di chiunque altro.
Ma davvero educando i bambini a mangiare solo quello che vogliono, li si sta educando a un’alimentazione corretta?

Il dibattito è aperto. E passiamo ai genitori la palla. Raccontando, eventualmente, la loro esperienza nelle scuole e la loro idea per evitare che il momento dei pasti diventi un incubo. Per tutti.

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