Ingresso vietato ai bambini

È della settimana scorsa la notizia di un ristorante bresciano i cui gestori, esasperati dalle continue lamentele dei loro clienti, hanno deciso di vietare l’ingresso ai bambini e, di conseguenza, alle famiglie, dopo le 21.00.
La notizia, per altro non la prima nel suo genere, ha fatto il giro del web. Tra sostenitori e detrattori. Genitori indignati (ma anche genitori favorevoli). E non genitori, finalmente, soddisfatti.
Se l’Italia non è un Paese a misura di bambino (mancano le strutture, una politica vera a sostegno delle madri, una mentalità che venga incontro a quelle che sono le esigenze dei più piccoli – banalmente: fasciatoi nei locali pubblici, seggioloni a disposizione della clientela in bar e ristoranti, zone attrezzate per far giocare i bimbi nei musei….), è pur vero che questa di vietare l’ingresso agli under 12 è una realtà in molti paesi considerati, invece, family friendly: la civilissima Svezia, per esempio, dove alcune catene di albergo sono vietate sotto i 18 anni; gli Stati Uniti, dove la moda è nata sulla scia del libro di Maier Corinne No kid. 40 ragioni per non avere figli; la Francia; la Germania dove addirittura si affittano le case esclusivamente ai ‘senza figli’….
Qui da noi, il problema è relativamente recente ma in merito si è scatenata una battaglia aperta.
C’è chi dice che permettere a un privato di vietare l’accesso a un’intera categoria di persona è pericoloso perché crea un precedente (e se un giorno si venisse discriminati per il colore della pelle come accadeva in passato? Perché su una sedia a rotelle? Perché biondi o mori? Alti o bassi? Eterosessuali o omosessuali?).
Chi sostiene che nel proprio locale ciascuno è libero di fare ciò che crede e che l’obiettivo di un gestore (di ristoranti, alberghi, piscine…) dovrebbe essere quello di venire incontro alle esigenze della propria clientela, non opere di buonismo che, di fatto, scontentano tutti.
C’è chi dice che sono i genitori che dovrebbero avere il buon senso di evitare certi locali, in particolare in alcune ore del giorno, sapendo che la frequentazione non è adatta ai bambini (e questa è la nostra idea).
C’è chi pensa che a mali estremi, estremi rimedi. E che se non c’è modo di insegnare la buona educazione e il rispetto per gli altri, la sola alternativa è quella di chiudere fuori la maleducazione…

UN PO’ DI BUON SENSO
Noi riteniamo che il buon senso salverebbe capre e cavoli. L’intolleranza verso i bambini spesso arriva ad accessi estremi. Per dire: i bimbi di oggi, per lo più, non possono giocare nei cortili e sono mal visti anche in situazioni dove, tutto sommato, non è giustificabile che lo siano (nei musei, nei supermercati, nei bar all’ora di pranzo…).
È pur vero che trascinare bimbi che gridano e urlano, corrono tra le sedie, si lanciano il pane… in ristoranti frequentati da adulti, spesso coppie in cerca di un po’ di tranquillità, è del tutto fuori luogo e senza senso.
Ci è persino capitato di assistere a un film (un film decisamente destinato a un pubblico adulto) con una mamma che cullava allegramente il suo bebè urlante due file dietro la nostra. Ma perché? (a questo proposito, buone le iniziative destinate alle famiglie che consentono di portare al cinema anche i neonati, in orari e giorni predeterminati. Perché in fondo chi ha detto che una neomamma debba chiudersi in casa come uno zombie?).
Il tutto in un contesto in cui nessuno sembra più avere rispetto per gli altri, in una sorta di ripicca continua e di pretesa continua che tutti possano e debbano fare tutto.

Se, però, il discorso ha senso per quanto riguarda locali, ristoranti e cinema, come comportarsi con i bambini negli alberghi (è vero che esistono gli hotel per famiglie. Ma spesso hanno costi proibitivi e, comunque, la loro presenza non è capillare). E sugli aerei?
Anni fa c’era stata la proposta, da parte di alcune compagnie aeree, di istituire voli children free. Ma è giusto impedire a un genitore, che ha la sola colpa di essere padre o madre, di viaggiare? Anche qualora il bambino non arrechi alcun disturbo?
Le famiglie straniere viaggiano tantissimo, anche con i bambini. In Italia l’idea che ci si possa allontanare dalla Liguria o dall’Emilia Romagna anche con un neonato è relativamente recente.
Eppure è indubbio che spesso i piccoli sugli aerei, soprattutto se il viaggio è molto lungo, siano di disturbo per gli altri. Che fare?
Forse anche in questo caso potrebbe valere il buon senso. L’educazione e l’abitudine. Insegnare ai bambini a rispettare gli altri e pretendere, però, che gli altri li rispettino. Accettando il fatto che, per quanto educato, un bambino è pur sempre un bambino.

E poi una proposta. Forse più una provocazione: e se si vietasse l’ingresso ai genitori di bambini maleducati? Ossia, se il dito venisse puntato non su una categoria intera, che in questo modo si può far forza della perdita di un diritto ed, eventualmente, proseguire sulla propria strada di mancanza di rispetto, ma solo su alcuni componenti della stessa categoria, quelli che non sono in grado di insegnare l’educazione ai propri figli?
In fondo le lezioni a tappeto, alla fine, impoveriscono tutti. Le lezioni mirate, invece, sono molto più funzionali. Ai singoli e alla collettività. E se non ai singoli, sicuramente alla collettività.

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