Le paure dei bambini

Come istinti primordiali, le paure sono insite nell’uomo sin dalla nascita. In un certo senso, potremmo affermare che sono innate, parte integrante dell’istinto di sopravvivenza che caratterizza tutte le creature viventi, non solo l’essere umano – spiega la dottoressa Rosenholz.

I PRIMI MESI: L’ANGOSCIA DELL’ABBANDONO
Il neonato appena venuto alla luce ha paura. Ovviamente, si tratta di una forma di timore che ha poco a che vedere col significato comune del termine, ma esiste ed è presente sin dai primi giorni in modo determinante. È, per esempio, l’angoscia la responsabile di alcuni degli inspiegabili pianti del piccino ed è sempre la paura (in questo caso legata al terrore dell’abbandono) che spinge i piccoli ad attaccarsi al seno materno cercando sì il cibo, ma il cibo inteso come forma di sostentamento e continuazione della vita. Si tratta di un’angoscia atavica più o meno proporzionale al riscontro che il neonato trova con la madre, perno centrale intorno al quale ruota tutta la sua esistenza, ed è proprio dalla madre che il piccino teme di essere abbandonato.
A proposito del pianto del neonato
I bambini molto piccoli piangono per attirare su di sé l’attenzione. Il loro è un grido che serve da campanello d’allarme per chi se ne prende cura (“qualcosa non va. Cosa?”) affinché li faccia sentire protetti e al sicuro. Lasciare che un bimbo molto piccolo pianga e gridi da solo per ore è sbagliato perché non fa altro che accentuare il suo senso di solitudine. Il pianto, infatti, è per i neonati una forma di linguaggio utilizzato per esprimere un disagio (fame, sonno, paura, pannolino sporco…) e va ascoltato e capito. Tapparsi le orecchie significa non dargli valore e potrebbe avere come conseguenza quella di portare il bambino che non si sente valorizzato e preso in considerazione a una chiusura più o meno grave.

8° MESE: LA PAURA DELL’ESTRANEO
Nei primi mesi di vita, il neonato vive quasi in simbiosi con la mamma, formando in un certo senso con lei un’unica entità. È solo dopo, intorno ai 7/8 mesi, che il bambino prende coscienza della propria autonomia e comincia a formarsi come personalità distinta. Ciò che avviene è una sorta di processo di elaborazione di separazione dalla madre che provoca, come conseguenza, la paura dell’estraneo visto come altro da sé. La cosa è abbastanza evidente se si pensa a come i bimbi piangano e strepitino quando vengono affidati a qualcuno che non conoscono. Si tratta di una reazione assolutamente naturale e necessaria che testimonia del valore della relazione mamma-figlio, del rapporto simbiotico che si è instaurato tra i due nel corso dei primi mesi. La paura dell’altro, quindi, in questo caso specifico e a quest’età, è indispensabile, segnale di un processo di crescita e di presa di coscienza dell’altro e di sé naturale e giusto.
L’inserimento al nido
L’angoscia da separazione si manifesta con particolare evidenza nel periodo dell’inserimento al nido, un momento fondamentale durante il quale il piccino impara, con dolore, a staccarsi da chi, fino a quel momento, è stato il suo unico punto di riferimento, quasi un prolungamento. Per questo è molto importante che questo momento, che può durare anche fino ai 2 anni, venga vissuto intensamente sia dalla mamma che dal bambino e per questo è fondamentale che il processo di distaccamento avvenga secondo i giusti tempi (e ogni bimbo ha i suoi) e con la dovuta rilevanza.

DOPO L’ANNO: IL BUIO CHE AVANZA
Intorno ai 6-8 mesi, quando il bambino comincia a sviluppare un suo primitivo apparato psichico di pensiero, il buio viene percepito come presenza (o non presenza) intorno a sé. A quest’età, il timore legato alla mancanza della luce è ancora inconsapevole e irrazionale. È solo dopo, quando il piccolo capisce che la notte ha a che vedere con il sonno e quest’ultimo ha a che fare con una separazione (andare a nanna significa staccarsi dal proprio mondo cosciente), che la paura del buio diventa consapevole. Tutti i bimbi ne sono, in forme diverse, vittime. Si tratta ancora di un’angoscia legata all’idea dell’abbandono, del distacco, seppur momentaneo, dalla madre. Il non sapere cosa c’è intorno aggrava la situazione.
Un orsacchiotto per difendersi dalla notte scura
In questa fase l’orsacchiotto (così come il ciuccio) assume un significato fondamentale. È l’oggetto transizionale, il baluardo di difesa contro l’ignoto. La fatica a separarsi dalla realtà quotidiana non può essere eliminata, ma accompagnata sì: la lucina accesa, il peluche, la canzoncina o il carillon, sono tutti mezzi per guidare il bimbo nel mondo dei sogni, rimanendo con lui fino al fatidico momento del distacco (la luce spenta, il buio appunto). Detto ciò, si intuisce come la paura del buio, come quella della morte, sia innata e faccia parte dell’esistenza dell’uomo e del bambino in particolare.

DAI 3 ANNI IN SU: IL LUPO AFFAMATO E LA STREGA CATTIVA
Dopo il periodo delle angosce istintive e ataviche, i timori dei bambini assumono una forma diversa diventando simboliche e si legano fortemente alle relazioni familiari, indipendentemente da come queste siano state improntate. In altre parole, ci troviamo ancora di fronte a un ineluttabile percorso di crescita.
Fino ai 3 anni tutte le paure sono, infatti, legate alle parti orali (il lupo affamato, il leone famelico…) e riguardano il tentativo di rielaborazione dell’aggressività orale frequente nel processo di separazione dalla mamma. In seguito, durante la fase edipica, si configurano come incubi complessi e proiezioni del reale (la strega cattiva che simboleggia la figura materna, l’uomo nero, il ladro…), insieme di universo fantasmatico e realtà.
Il sonno della notte genera mostri
I sogni assumono in questo momento un ruolo centrale, caratterizzandosi spesso come incubi (anche i neonati sognano, ma essendo il loro apparato psichico poco sviluppato, i sogni sono per lo più immagini semplici che riguardano la loro esistenza quotidiana). Le visioni oniriche, infatti, altro non sono che elaborazioni del vissuto, raccontano i conflitti e spiegano ciò che viene depositato nell’inconscio. Sono, in pratica, le parole attraverso cui questo comunica.
Gli incubi, come forme particolari di sogno, fanno emergere le paure più profonde e non devono essere negati (dormi che il mostro non esiste), ma capiti e guidati verso la rielaborazione, aiutando il bambino a comprendere che sono parte del suo vivere quotidiano (il mostro c’è, ma io sono qui per proteggerti). Solo in questo modo è possibile sconfiggerli: la loro negazione, infatti, non giova alla risoluzione del conflitto che mettono in evidenza e rivela una mancanza di rispetto verso le angosce infantili.
Rispettare le paure dei piccoli è, in questo senso, il primo passo da compiere per aiutarli a crescere.

SULLA SEDIA DEL DENTISTA
La paura del dentista, così come quella del dottore, della puntura… è una paura reale. Ciò che si teme è il dolore fisico, dolore che per altro c’è. Anche in questo caso, negare l’angoscia è sbagliato (non aver paura. Non ti farà nulla!). Anche spiegazione eccessive servono a poco (il dottore ti farà una punturina, poi guarderà il dentino e se c’è qualcosa che non va lo leverà…). Al contrario, al bambino andrebbe detto che sì, probabilmente sentirà male, ma che si tratta di un male superabile che non lo ucciderà. Tenergli la mano durante la visita facendo sentire la propria presenza, aiuterà il piccolo a sentirsi protetto.

MAMMA TELEVISIONE
I bimbi andrebbero protetti dai media. Telegiornali, film dell’orrore, programmi di attualità che mettono in mostra atti di violenza e barbarie, non fanno per i bambini. I messaggi gratuiti che potrebbero far insorgere angoscia e terrore vanno, in tutti i modi, evitati. Diverso, invece, il discorso per quanto riguarda cartoni animati e trasmissioni per l’infanzia. Il contenuto simbolico che spesso nascondono, infatti, non solo può essere capito dal piccolo, ma addirittura può essergli utile per rielaborare i suoi timori, un po’ come avviene per la lettura e l’ascolto delle fiabe. I genitori hanno, comunque, il compito di mediare tra la tv e i loro figli, valutando caso per caso quale programma possa andare bene per loro e quale no.

PARTIRE È COME UN PO’ MORIRE
Lasciare la loro casa e le cose a cui sono affezionati per i bambini è quasi sempre difficile. Si tratta, comunque, di una separazione che devono affrontare. In ogni caso, se a volte per gli adulti è lecito parlare di paura del viaggio (il terrore di prendere un aereo ne è un esempio lampante), difficilmente per un bimbo, soprattutto se molto piccolo, questo può rappresentare fonte di stress e angoscia. La psicosi del viaggio esiste, quindi, solo quando l’adulto non è in grado di trasmettere tranquillità al piccino, di rassicurarlo sul cambiamento.

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