Madri tigre e madri chiocce

Amy Chua insegna legge alla Law School di Yale. E qualche giorno fa ha pubblicato sul Wall Street Journal un articolo che in poco tempo è diventato il più letto e commentato del sito on line raccogliendo anche su Facebook in pochissime ore un’incredibile quantità di amici e post.

Amy Chua, cinese come ci dice il suo nome, si è fatta, infatti, portatrice di un’idea ben precisa che ha trovato consensi e opposizioni fortissime tra gli utenti e i lettori. Secondo lei le madri orientali sarebbero migliori delle madri occidentali e i bambini dell’Est otterrebbero risultati migliori, a scuola e nella vita, di quelli del’Ovest.

La tesi riprende quella riportata nel libro scritto dalla Chua Inno di battaglia della madre tigre in cui all’immagine della mamma chioccia di stampo occidentale (e italiano sicuramente) si contrappone quella della mamma tigre di fattura cinese.

Nel libro l’autrice racconta il metodo educativo da lei utilizzato nei confronti delle figli, la sua determinazione a far sì che queste riuscissero a ogni costo, la sua volontà di portarle all’estremo delle loro capacità anche a costo di essere da loro odiata.

Le madri occidentali, al confronto con questa madre (e questo modello materno), sembrano deboli creature soggiogate dai sensi di colpa e dalla paura di ferire i sentimenti del proprio figlio.

Il dibattito è, naturalmente, aperto tra sostenitori e detrattori. Che la cultura occidentale (e quella italiana, in particolare) abbiano una tendenza alla giustificazione e alla morbidezza è fuori di dubbio. Che troppo spesso i genitori, schiacciati dai sensi di colpa, non siano capaci di dire di no ai propri figli, che i ragazzini di oggi hanno pretese e atteggiamenti impensabili per quelli di ieri (e per quelli che vivono nel grande continente giallo) è sicuro. Che i cinesi eccellano, laddove ancora si può parlare di eccellenza, negli studi, è assodato.

Che, però, sia giusto obbligare una bambina di sette anni a imparare a suonare un pezzo al pianoforte complicatissimo, segregandola in casa, impedendole di accedere ai suoi giocattoli e persino di mangiare e di bere, come racconta Amy Chua nel suo libro parlando dell’educazione impartita a sua figlia, è tutta un’altra faccenda.

Nell’educazione dei figli, infatti, sicuramente esiste l’obbligo di spronarli e motivarli, cercando di vincere eventuali pigrizie e forme di apatia. Ma un bambino è una creatura con attitudini ben precise. E non tutti devono per forza essere interessati a suonare il pianoforte a sette anni.
Inoltre, accanto alla capacità di fare, i genitori avrebbero l’obbligo di insegnare ai proprio figli a sopravvivere qualora non riescono a fare, superando e accettando i propri limiti in modo sereno. Dote che spesso manca ai bambini e agli adolescenti orientali, presi in considerazione solo a fronte di un successo conclamato.

Il vero problema delle mamme italiane, generalizzando e facendo di tutta l’erba un fascio, è, secondo noi, la prontezza alla giustificazione che si traduce, poi, in età adulta, nella giustificazione di qualsiasi comportamento, legittimo e illegittimo.

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