Strasburgo contro la legge 40

Ancora problemi per la Legge 40 che regolamenta i parametri per accedere alla fecondazione assistita.
Già più volte bacchettata dall’Europa per la scarsa attenzione dimostrata verso le esigenze delle coppie con problemi di fertilità, infatti, la normativa ha ricevuto proprio nei giorni scorsi una nuova stangata con la sentenza emessa dalla Corte Europea di Strasburgo che, in pratica, consente alle coppie fertili con gravi problemi genetici di accedere alla Pma e di effettuare esami diagnostici preimpianto sull’embrione nel tentativo di avere figli sani.

L’ANTEFATTO
Nell’agosto 2012 la Core europea dei diritti dell’uomo si espresse a favore di Rosetta Costa e Walter Pavan, entrambi affetti da fibrosi cistica e già genitori di una bimba di sei anni anch’essa malata, che chiedevano di essere ammessi alle tecniche di procreazione assistita, benché non affetti da infertilità, nel tentativo di dare alla luce un figlio sano attraverso esami diagnostici preimpianto.
Le motivazioni di Strasburgo furono, allora, che la legge 40 di fatto viola la Convenzione europea sui diritti dell’uomo che, all’articolo 8, prevede il diritto di ciascun cittadino al rispetto della propria vita privata e familiare. Risultando, per altro, incoerente, rispetto alla 194, la legge sull’aborto, che consente l’interruzione di gravidanza qualora il feto sia affetto dalla medesima malattia.
La sentenza, inoltre, stabilì che lo Stato Italiano, a cui vennero, comunque, concessi 3 mesi di tempo per fare ricorso, versasse alla coppia 15.000€ per i danni morali e 2500€ per le spese legali.

LA CONDANNA DEFINITIVA
La sentenza dei giorni scorsi boccia nuovamente la legge 40 e il ricorso dello Stato italiano, rendendo, di fatto, definitiva la sentenza di agosto.
Non solo. La bocciatura rappresenta un’enorme vittoria in termini di diritti privati del cittadino dal momento che rende possibile l’accesso alla fecondazione assistita alle coppie malate o portatrici sane di malattie genetiche gravi, anche qualora fertili.
In Europa, gli unici paesi dove ancora questo non è possibile sono l’Italia, l’Austria e la Svizzera. Mentre tutti gli altri hanno in merito una normativa laica più attenta a non discriminare nessuno.

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