Un tetto per gli stranieri

È stato fissato al 30% il tetto dei bambini stranieri che dal prossimo anno scolastico potranno essere ammessi nelle classi italiane. Lo prevede una nota del Ministro Maria Stella Gelmini inviata qualche settimana fa a tutti gli Istituti scolastici italiani con l’obbligo di essere messa in pratica dall’anno scolastico 2010-2011 a partire dalle prime classi della scuola primaria e secondaria.

LA POSIZIONE DEL MINISTERO DELL’ISTRUZIONE

L’idea, secondo quanto riferisce il Ministro, è quella di favorire l’integrazione evitando la formazione di “classi ghetto” formate per lo più da bimbi stranieri spesso non del tutto padroni della lingua italiana.

La nota prevede che il Ministero assegni risorse finanziarie ad hoc alle scuole per l’inserimento di piccoli stranieri e ulteriori finanziamenti per le scuole dei territori con alta presenza di stranieri. Sempre secondo quanto riferito dal Ministero, è prevista l’attivazione di servizi specifici (navette, autobus, scuolabus…) per lo spostamento dei piccoli qualora fossero costretti a muoversi presso Istituti Scolastici al di fuori della loro zona di competenza.

LE POLEMICHE

A contestare la decisione del Ministro Gelmini, oltre all’Opposizione, la Chiesa che mette in guardia contro il rischio di creare nuove discriminazioni tra gli immigrati.

Sebbene, infatti, inequivocabile sia la necessità di evitare la formazione di classi costituite solo da stranieri, dall’altro è sbagliato considerare il bambino straniero come un problema o come fonte di rallentamento per le classi stesse.

Gli oppositori puntano, poi, il dito sul supposto stanziamento di fondi, sulla creazione di accordi di rete tra le scuole e gli enti locali con gli Uffici scolastici regionali e sulla definizione stessa di “straniero”.

La verità, secondo noi, è che se un tale provvedimento non si inserisse in un clima avvelenato dagli odi (basti vedere quanto successo a Rosarno) e di diffusa intolleranza nei confronti di stranieri ed extra-comunitari (cori razzisti negli stadi, episodi di violenza nei confronti di chi viene da fuori…), un simile provvedimento potrebbe anche avere una sua validità pedagogica, non solo per i bambini italiani, ma soprattutto per i piccoli stranieri che, effettivamente, non si vedrebbero inseriti all’interno di classi “ghetto”.

Il nostro timore, però, è che un simile provvedimento sia fatto a solo beneficio delle famiglie italiane che in questo modo vedono, egoisticamente, tutelato l’interesse dei loro figli. L’idea, poi, che lo straniero sia considerato “un problema” ci piace poco.

Al contempo, riteniamo che lo spostamento di ragazzini di sei-sette anni da una zona all’altra della città, bambini che spesso arrivano già da situazioni difficili, non solo complichi ulteriormente la loro situazione personale, ma sia un deterrente per le famiglie che potrebbero rinunciare del tutto a iscrivere i loro figli a scuola (ricordiamo che in Italia l’istruzione è un diritto e un dovere per tutti i bimbi, indipendentemente dalla loro provenienza, razza e religione).

Insomma, per dirla in altre parole, non siamo contro al provvedimento in sé, ma ai motivi che lo hanno generato e alle conseguenze che potrebbe avere per alcuni piccoli “non italiani”.

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