A scuola per imparare a mangiare

I disordini del comportamento alimentare sono oggi molto diffusi nella nostra società, specie tra i giovani di età compresa tra i 14 anni circa e l’età adulta. Sempre più spesso, però, negli ultimi anni, le casistiche evidenziano un numero crescente di casi anche in età infantile. A ciò si aggiunge il fatto che, mentre fino a qualche anno fa questi disagi “vestivano” quasi esclusivamente al femminile, attualmente si registra, invece, un significativo aumento dei disturbi alimentari anche tra i maschi.
Si rende pertanto sempre più necessario all’interno di contesti educativi e formativi l’esigenza di creare spazi e modalità di lavoro che tendano a dare un’adeguata informazione su una corretta educazione alla nutrizione e all’alimentazione.

Dal punto di vista educativo, attualmente tanti sono i progetti di “educazione alimentare” che vengono sviluppati nelle scuole dell’infanzia e nelle scuole primarie.
In modo particolare, all’interno delle scuole primarie, soprattutto nel primo ciclo (prime e seconde classi) è ipotizzabile la realizzazione di un “progetto – pilota” di profilassi dei Disordini del Comportamento Alimentare, che rientrando nella più ampia educazione alla salute, favorisca nei piccoli destinatari il perseguimento di una serie di finalità formativo – educative:

  1. Sensibilizzare i bambini alla corretta educazione alimentare
  2. Sviluppare una conoscenza adeguata sugli aspetti generali della buona alimentazione: regole, dieta, preferenze.
  3. Riconoscere l’importanza di una corretta educazione alimentare come inserita nel processo di crescita psicofisica del bambino.
  4. Prevenire problemi futuri di alimentazione

Le finalità del progetto, che può essere sviluppato in un percorso annuale, possono qualificarsi attivamente per una serie di esperienze di gioco che vedano coinvolte per prima le mamme dei piccoli destinatari.
Infatti, nella presa di coscienza della significatività del rapporto che il bimbo ha col cibo, non si può eludere dalla portata del mondo affettivo ed emotivo nel rapporto madre – bambino. La mamma rappresenta il primo “cibo” per ogni cucciolo e le modalità, l’amore, la più ampia componente psico emozionale che supporta tale rapporto è importantissima.
Per questo operare su un progetto di prevenzione dei disturbi alimentari, durante l’infanzia, vede, a mio avviso, la presenza genitoriale come una preziosa risorsa educativa.
I genitori possono lavorare in gruppi, innanzitutto, lasciando emergere le modalità con cui filtrano il rapporto col cibo dei propri figli: galateo, abitudini, tabella dietetica giornaliera, frequenza di presentazione di cibi e quant’altro sono gli argomenti che possono caratterizzare tavole rotonde, sviluppate per esempio con cadenza settimanale e coordinate, con giochi, colloqui e gruppi , dal dietista, dal pedagogista, dallo psicologo.
Modificare le condotte comportamentali alimentari della famiglia, laddove ci siano inadeguatezze, è necessariamente preventivo all’azione educativa sul gruppo di bambini.

Le attività progettuali con i bimbi debbono essere serenamente filtrate dal gioco, che rappresenta un mediatore di apprendimenti, di acquisizione di conoscenze e competenze efficace e pertinente alla loro fascia di età: prevedere a scuola un angolo del mercatino, un angolo della cucina, un laboratorio di preparazione di cibi è un modo per osservare le abitudini familiari, per lasciare emergere emozioni e per riconoscere dinamiche di comportamento.
Uno dei giochi che può essere proposto è l’associazione cibo – colore, che rende evidente l’emotività che ogni piccolo da ad alcuni cibi rispetto ad altri.
La strutturazione, poi, in uno spazio della scuola, di un laboratorio del gusto e degli odori, dove raccogliere e scoprire sapori, anche quelli di un tempo, o quelli legati a ricorrenze e festività, è un modo ludico di apprendere e strutturare capacità, spesso sottintese dagli adulti di riferimento.
Stilare in classe un tabellone delle preferenze gustative, dei cibi più o meno cucinati in casa, di quelli rifiutati dal bambino, per ogni componente del gruppo rappresenta una modalità di verifica di quanto e come si mangia.

Il percorso educativo, filtrato dalla presenza di esperti (dietologi, psicologi e pedagogisti) aiuta, inoltre, in modo peculiare, ad elicitare anche situazioni a rischio di disturbi del comportamento alimentare: abusi di cibi selettivi, inappetenza frequente, rifiuto quasi fobico del rapporto con l’alimentazione, reazione emotiva a situazioni di disagio con abbuffate alimentari nascondono (come si evidenzia nel testo sopra citato) un substrato psicologico e affettivo che va curato e guidato ad un rapporto con se stessi, con gli altri e poi col cibo sereno e motivante.
Ovviamente, quanto prima si effettua un percorso preventivo ed educativo di questo tipo, tanto prima si allontana la possibilità che comportamenti inadeguati verso il cibo si strutturino nelle abitudini alimentari dei bambini.

Della dottoressa Maria Rita Esposito è possibile leggere La bulimia. Aspetti psicologici, fisiologici e sociologici di un disturbo del comportamento alimentare (Guida Editori, Napoli, 1999. Costo 10€).

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