Bambini bilingue

É il cervello, per l’esattezza l’emisfero sinistro del cervello, la sede preposta per la funzionalità del linguaggio. L’area che lo controlla e ne regola la capapcità di capire e farsi capire si forma già a partire dalla 28° settimana di gestazione anche se è solo dopo la nascita e fino all’adolescenza (con un picco massimo intorno ai 2/3 anni) che il bambino impara a parlare e a capire quello che gli viene detto. In altre parole, è nei primissimi anni di vita che i bimbi apprendono quel complesso meccansimo che viene chiamato “comunicazione verbale”, qualunque sia la lingua che viene impartita loro.
Nascere e crescere in una famiglia bilingue, perciò, è, a dispetto di quello che si potrebbe pensare, una fortuna più che uno ostacolo anche se talvolta può capitare che i piccoli bilingue abbiano, apparentemente, maggiori difficoltà rispetto ai loro coetanei ad apprendere l’una o l’altra lingua o tutte e due.

Nessun problema, dunque, se in casa uno dei due genitori parla una lingua diversa da quella di maggiornaza (l’italiano nel nostro caso). L’importante è seguire alcune regole per non confondere il bambino e per non privarlo della possibilità in più che la sua situazione familiare gli ha regalato.

  • Innanzitutto è fondamentale che il genitore che non parla italiano (o che non lo parla bene) decida una volta per tutte e in modo univoco di rivolgersi sempre al piccolo nella sua lingua madre.
  • In secondo luogo, non bisogna preoccuparsi né tantomeno arrendersi se il bimbo risponde in italiano alla mamma o al papà che si sono rivolti a lui in un’altra lingua. Una risposta appropriata implica, comunque, la comprensione e mette in moto il meccanismo cerebrale atto ad attuarla (che è, poi, il principio basilare di comprensione di qualsiasi forma di linguaggio).
  • É indispensabile, inoltre, che il genitore che non parla italiano utilizzi in casa la sua lingua madre con disinvoltura, senza preoccuparsi del fatto che altri potrebbero non capirlo. Il bambino imparerà a distinguere le due lingue con le quali ci si rivolge a lui separando bene gli ambiti e le situazioni.

    Due sono, sostanzialmente, i meccanismi che stanno alla base dell’apprendimento di due o più lingue. Dal momento che la comprensione e la riproduzione del linguaggio, salvo problemi specifici, è una cosa naturale attraverso la quale tutti i bambini passano, è possibile procedere secondo due distinte modalità:

  • o attraverso quella che viene definita acquisizione simultanea che consiste nel insegnare simultaneamente al piccolo due lingue diverse le cui regole e i cui vocaboli vengono inizialmente immagazzinati e mischiati insieme per poi essere scissi e classificati nell’una e nell’altra lingua (è intorno ai 4 anni che il piccino impara a distinguere chiaramente i due idiomi e a passare senza confusione dall’uno all’altro)
  • o attraverso il metodo dell’acquisizione sequenziale in base al quale i genitori insegnano al bambino prima una lingua (di solito quella di maggiornaza) per passare, poi, intorno ai 3 anni all’altra. Il bimbo apprende così prima le regole di un idioma e poi quelle dell’altro.

    In entrambi i casi, si può assistere a un periodo più o meno lungo durante il quale il piccolo sembra sordo a una delle due lingue e incapace di riprodurla (sia oralmente che graficamente per i bambini che già frequentano la scuola). Si tratta, in realtà, di un mutismo selettivo, una sorta di rifiuto che col tempo viene superato per lasciare il posto a una perfetta conoscenza di due idiomi diversi sapientemente interiorizzati.

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