Gioco e scelta metodologica
Come organizzare un gioco nella scuola d'infanzia seguendo una ben precisa scelta metodologica. Ce ne parla la dottoressa Maria Rita Esposito.

Come organizzare un gioco nella scuola d'infanzia seguendo una ben precisa scelta metodologica. Ce ne parla la dottoressa Maria Rita Esposito.
É ormai consuetudine che il gioco rappresenta il mediatore per ogni attività di conoscenza, di sviluppo e di apprendimento per i bambini, sin dalla più tenera età.
Ogni proposta didattica – all’interno di un asilo o di una scuola dell’infanzia – deve essere motivante, incuriosire il piccolo destinatario, lasciare un significativo apprendimento. Ecco perché la scelta, da parte del team docenti, di metodologie e strategie funzionali a promuovere un sereno sviluppo psicofisico nei bambini, è importantissima.
Nelle scuole dell’infanzia, a differenza della scuola primaria, nel quadro orario dei docenti non è previsto un monte ore da dedicare alla progettazione settimanale delle attività.
Questo è un grande gap della scuola materna, poiché la programmazione rappresenta, seppur nel concetto insito di flessibilità, un filo conduttore importante e preventivo alla pianificazione di un percorso educativo non improvvisato.
Nella maggior parte dei casi la programmazione viene fatta, promossa da fondi di istituto: in essa, fra l’altro, vengono discusse le metodologie più adatte a perseguire dei traguardi formativi nei bambini fino ai 5 anni e mezzo, metodologie che cambiano a seconda di una serie di condizioni:
Facciamo qualche esempio. Per raccontare una fiaba a un gruppo di 15 bambini di 3 anni, l’insegnante privilegerà il circle time: disporrà i piccoli in cerchio a terra e racconterà la storia, tenendo in tal modo ferma l’attenzione mimando e cantando.
Per uno stesso gruppo di 5 anni è possibile servirsi di un circle time con sedioline, oppure di un momento frontale disponendo i bimbi nei banchetti.
È ovvio che il numero dei bambini incide in modo significativo sulla riuscita del gioco – attività didattica: è più semplice gestire il piccolo che il grande gruppo.
Con un piccolo gruppo è più semplice agire con metodologie moderne (per esempio, ricercare con i bambini un’attività da fare scelta dal gruppo; oppure ascoltarsi e dialogare dando possibilità a ognuno di esprimersi; o ancora realizzare un’attività cartacea o murale da esporre).
Col grande gruppo si rende spesso necessario per il docente mettere in pratica una lezione frontale, che dia la possibilità di tenere sotto controllo i piccoli, specie se il numero di alunni supera i 25 e non ci sono momenti di compresenza fra maestri.
La differenza fra la lezione frontale rispetto al lavoro di piccolo gruppo è che essa permette al bambino di porre attenzione alla consegna data dall’insegnante e, quindi, favorisce l’attenzione sul compito, se questo ha un tempo adeguato all’età del bimbo e alla sua stanchezza (carico cognitivo).
Il metodo di lavoro per gruppi promuove innanzitutto la socializzazione e l’interazione di diverse intelligenze e abilità. Viene, quindi, usato molto nelle fasi dell’anno scolastico di conoscenza (settembre – dicembre) e nei periodi di realizzazione di manifestazioni che prevedano la sezione suddivisa in sottogruppi.
Tale esposizione tende pedagogicamente a evidenziare, comunque, che è molto complesso dire quale metodo sia migliore di un altro. E penso sia un serio pregiudizio. L’insegnante sa bene che una buona pratica educativa si qualifica per l’uso di strategie multiple e diversificate, molto legate (per gli asili e le scuole dell’infanzia) al momento di ricerca di espressione e comunicazione dei piccoli e alla progettualità educativa della scuola.
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