Litigi di bambino

I bambini litigano tra loro. Non quelli di oggi (che le statistiche vogliono più violenti e pronti all’attacco), ma i bambini di tutti tempi, quelli che portavano le braghe corte e quelli che indossavano il tight e il cilindro. Confrontarsi con i coetanei fa parte del difficile compito di diventare grande, significa imparare che non si è soli al mondo, che qualche volta è necessario farsi da parte e cedere, oppure che bisogna battersi per affermare le proprie idee e la propria volontà.
Nonostante, quindi, non sia bello per un genitore vedere il proprio figlio che si azzuffa col compagno o col fratello, che litiga per motivi che, apparentemente e comunque in un’ottica adulta, sembrano stupidi e banali, nonostante tutto ciò, dicevamo, sarebbe meglio in questi casi non intervenire e lasciare che i bambini se la sbrighino tra loro, che risolvano la questione come meglio credono.
Ciò implica evitare di prendere le difese dell’uno o dell’altro contendente (a meno che uno dei due sia molto più piccolo dell’altro e incapace di difendersi da solo) anche quando siamo convinti della ragione di uno e non dell’altro e non mettersi in mezzo nel tentativo di dividere i piccoli litiganti. Toccherà a loro togliersi dall’impaccio in cui si sono messi: dovranno imparare ad arrangiarsi da soli.

È intorno ai 2 anni che i bambini cominciano a nutrire interesse nei confronti dei loro coetanei. Prima il loro mondo è quello della famiglia, accogliente, protettivo, sicuro. Andando all’asilo, e a scuola poi, imparano a vivere in un gruppo, ne accettano le regole e imparano a condividerle. In questo contesto, si abituano alla presenza di estranei e iniziano a comprendere che il mondo non gira intorno a loro, che spesso, per avere qualcosa, è necessario lottare, affermare la propria personalità, le proprie idee, i propri desideri e capiscono che, talvolta, è necessario farsi da parte. Questo significa anche abituarsi ad accettare la sconfitta.
L’intervento degli adulti nelle questioni dei bambini blocca, in un certo senso, questo meccanismo che è inevitabile e fa parte della fase evolutiva del piccolo, innanzitutto perché gli toglie la possibilità di imparare a cavarsela da solo (un bambino che è abituato a correre da mamma e papà quando gli succede qualcosa di spiacevole, come potrebbe essere il litigio con un compagno, è un bambino sostanzialmente insicuro, incapace, comunque, di farsi “giustizia” da solo); in secondo luogo, perché spesso l’ottica degli adulti su ciò che è giusto e ciò che è sbagliato va contro quelle che sono le regole del gruppo, soprattutto se per gruppo intendiamo bambini della stessa età che stanno cercando di capire cosa significhi diventare grandi.

L’atteggiamento migliore da assumere, quindi, in questi casi è l’indifferenza. Potrà sembrare crudele e falso, ma è così. A casa, poi, lontano dai compagni o dall’amichetto col quale il piccolo ha litigato, gli si chiederanno spiegazioni sul suo operato (cercando, però, di non esprimere giudizi in merito a chi ha torto o ragione), condannando, eventualmente, l’eccessiva irruenza con la quale il bambino ha cercato di affermare le sue presunte motivazioni. Insegnare al bimbo a non essere violento, infatti, spiegargli che ci sono altri modi per esprimere il proprio parere, è una cosa, prendere apertamente le sue difese o sgridarlo per il litigio in sé, un’altra.

Categorie:

Età Prescolare
Età Scolare
Psicologia

Cosa ne pensi

;